mercoledì 6 novembre 2013

UNA POESIA SU UNO PSICODRAMMA


Mi scrive Maddalena una poesia che riproduce un caleidoscopio di vissuti e di esperienze traumatiche affrontate in un gruppo di psicodramma.  Non avevo mai letto, come questa,   una poesia che capace di  testimoniare, evocare  e riflettere su un incontro di psicodramma. Maddalena racconta come è arrivata a scrivere la poesia e l’ispirazione che le è venuta cogliendo un sorriso di una bimba. Scrive : “Dopo due soli incontri posso dire che lo psicodramma ha fatto centro: è davvero  successo qualcosa dentro di me. Qualcosa o qualcuno, ha agito nella mia anima.  Lo stimolo mi è venuto dallo sguardo di  una bambina che forse mi ha ricordato la mia infanzia.   È bastato lo sguardo di una bambina che ha assaggiato troppo presto l’amaro gusto della vita. Fin dalla prima volta che l’ho conosciuta, i suoi occhi mi parlavano e mi mandavano messaggi segreti sulla sua prematura saggezza.  Finché l’intimo silenzio si è trasformato in parola: “è triste il mio sorriso”. Questa frase,  pronunciata dalla piccola Chiara, si è scaraventata su di me come un lampo su un albero lasciandomi letteralmente elettrizzata.
Proprio grazie a Chiara si sono riversate su di me, una dopo l’altra,  tutte le frasi pronunciate dalle persone coinvolte nello psicodramma.  Per un attimo mi sono immersa nella consapevolezza di cosa significhi sopravvivere in una tragedia. Quando sono riemersa, bagnata dalla testa ai piedi, ho fatto cadere su un foglio le gocce della mia esperienza ed è nata questa poesia.
Questa poesia è una riflessione sui terribili drammi che può riservarci la vita, ma anche un tentativo di far nascere un senso di indignazione e di riscatto. È la dimostrazione che il dolore, per quanto sia terribile, devastante, può essere benefico se guardato in faccia e accolto… Del resto, come dice Nietzsche, bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante. È per questo motivo che dedico la poesia al gruppo di psicodramma e soprattutto alla piccola Chiara.”

È triste il mio sorriso

Voglio venire anch’io, ma tua mamma non vuole farmi venire.
Tua mamma è cattiva, è una stronza.
Ho bisogno di un bacio da tre persone.
Guarda quella stronza, lo fa apposta.
Vedi quanto soffriamo.

Vivo in una macelleria, in cui non ci sono emozioni.
Mia mamma mi ha rovinata, mi ha distrutta.
A quell’età ero sola, senza mamma e con padre alcolizzato.
È facile fare i fighi con le ragazzine.
Anche suo papà la picchiava se lei si ribellava all’abuso.
Questa mattina ho guardato il mio corpo ed ero soddisfatta,
il pomeriggio l’ho di nuovo guardato e non mi piacevo più.
Mi sento una bambina, sono una bambina, anche se
sono madre di due figli e moglie.
Tu fai del male alle persone, fai solo del male.
Forse sei nata per fare del male.
All’inizio mi piacevano le attenzioni del mio insegnante,
attenzioni che poi si sono trasformate in qualcos’altro.
C’è una frase che mi ha fatta stare male, una frase
che mi dicono ancora. Adesso ha un altro effetto,
ma tempo fa mi faceva soffrire.
Riesco a pensarla, ma non riesco a dirla:
ti voglio bene.
Sapete qual è la fatina che sempre ci resta vicino?
Ha in viso un sorriso giocondo e nel cuore le brucia
una fiamma. Ha il nome più bello del mondo.
È facile dirlo: è la mamma!
Mi sono resa conto che non esistono solo bravi genitori,
ma che esistono anche genitori cattivi. Esistono
genitori che non vogliono bene ai propri figli.
Esistono dei bruti che vengono definiti genitori.
Sei malata, hai dei problemi dentro di te,
ma sono problemi tuoi. Se avessi preso la pastiglia non
saresti a letto. Saresti felice.
Sto vivendo una grande tragedia.
Mamma, mamma; no, no, no…
Sto accettando il fatto che mio padre si sia impiccato
poco tempo fa, ma credo che sarebbe stato meglio
se l’avesse fatto prima.
Parli più con la testa che con la pancia.
Ti farei stare volentieri qui, ma ho paura che possa
farti del male.
La vita è una malattia mortale.
Mi sento fuori dal mondo. Sono staccato dalla realtà.
Gli adulti sono ignoranti. Non capiscono niente.
E Lui perché ti ha picchiata?
Come va con Lei?
Ho paura che Lui possa abusare di mia figlia
quando non ci sono.
Ho in mente l’immagine di un coltello.
Mi hanno portato a fare del male ad un ragazzino.
Mi ricordo di quando entravano nel collegio e
portavano in quella stanza una bambina alla volta.
Mi fai schifo.
Intanto il sangue non è come l’aria.
Lei è bulgara, è una zingara e gli zingari
vogliono essere liberi..
Mi chiedo che cosa possa succedere quando
abbia delle crisi così forti e sia a casa da sola.
Il suo respiro mi ha ricordato il sospiro dello stupro.
Ho contato le foglie di quel tappeto.
Voglio mia mamma.
Ascoltavo ciò che lei diceva e pensavo:
perché non sono stata così male anch’io?
Mamma, mamma; no, no, no…
A volte la disperazione ti fa scoprire risorse
che credevi non avere.
A volte la vita fa proprio schifo.
Forse quando non ci sono abusa anche di mia figlia,
ma non riesco a lasciarlo. La sua presenza
mi tranquillizza. Sapere che ogni sera dalla
porta entra qualcuno mi fa stare meglio.
Non mi sento sola.
Non so abbracciare.
Ho avuto dei rapporti orali con mio fratello e mia mamma
faceva finta di non sapere niente.
Devi imparare ad accettare e a prenderti cura
della piccola bambina spaventata che c’è in te.
Coccolami, ti pago pur di avere delle coccole da te.
Ti pago.
È triste il mio sorriso. 


venerdì 1 novembre 2013

RICERCHE SULLA VIOLENZA E NEGAZIONISMO


"E' tempo di riconoscere il maltrattamento sui minori come un problema di salute pubblica, e non solo di giustizia penale. L'abuso sui minori è prevenibile attraverso un approccio integrato di salute pubblica”- evidenzia Zsuzsanna Jakab, direttore regionale Oms per l'Europa.
Sempre secondo l’OMS, oltre ad avere un impatto devastante sulla vita dei giovanissimi, il maltrattamento ha conseguenze di vasta portata dal punto di vista dei costi sociali ed economici, stimabili in "decine di miliardi di euro".

Il legame tra maltrattamenti e sviluppo di malattie mentali è indiscutibile, sottolineano gli esperti: l'abuso può essere responsabile di un quarto dei casi di disturbi mentali come depressione, ansia, disturbi alimentari, problemi di comportamento, tentativi di suicidio, autolesionismo e uso illecito di stupefacenti.
Non solo, il comportamento violento spesso passa di generazione in generazione, favorendo l'instaurarsi di un ciclo di violenza. La prevenzione è cruciale, sottolineano gli esperti, che sollecitano interventi mirati a sostegno della genitorialità e programmi per prevenire e intercettare i traumi come la sindrome del bambino scosso. Ma anche campagne mirate sui media.
Secondo un nuovo rapporto dell'Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) sulla prevenzione del maltrattamento infantile più  di 18 milioni di bambini e ragazzi sotto i 18 anni sono maltrattati in Europa. Ogni anno 852 morti fra i bambini sotto i 15 anni. Morti che, avvertono gli esperti Oms riuniti al meeting del Comitato regionale per l'Europa, sono solo la punta di un iceberg. Secondo questo rapporto la prevalenza del maltrattamento è molto più elevato, che vanno dal 29,1% per l'abuso emotivo, il 22,9% per l'abuso fisico, al 13,4% per l'abuso sessuale nelle ragazze e del 5,7% nei ragazzi.
Altre ricerche e altri dati  sulla violenza ai danni dei più piccoli. Ma nonostante la reiterazione di queste statistiche sconvolgenti sulla diffusione del fenomeno del maltrattamento e dell’abuso il problema rimane oggetto di una rimozione e di una negazione da parte delle istituzioni sociali e da parte degli stessi operatori sociali e sanitari.

Secondo un recente dossier di Terre des hommes, le bambine e le ragazze sono ancora le vittime più vulnerabili della violenza verso i minori: in totale il 60% delle 5103 vittime dei reati commessi e denunciati a danno di minori nel 2012 (erano 4.946 nel 2011). E’ un quadro allarmante quello che emerge dal Dossier “indifesa” di Terre des Hommes presentato oggi a Roma con i dati forniti dalle Forze dell’Ordine. In particolare le bambine e le ragazze sono le vittime più vulnerabili della violenza sessuale verso i minori nel 2012: l’85% del totale, pari a 689 vittime. A queste vanno aggiunte le 422 vittime di violenza sessuale aggravata, il 79% femmine.
Preoccupante l’incremento dei reati di atti sessuali con minorenni, il cui numero delle vittime (505) è triplicato rispetto all’anno precedente. Il 78% sono bambine e adolescenti. A registrare l’aumento più drammatico è la pornografia minorile: +370%, a danno di 108 minori, il 69% dei quali femmine. I maltrattamenti in famiglia sono ancora i reati che mietono maggiori vittime tra i bambini, toccando la cifra record di 1.246 nel 2012, 82 in più del 2011.
I dati di TERRE DES HOMMES si riferiscono agli accertamenti in ambito giudiziario. E non bisogna ricordare moltissime ricerche, svolte in diverse parti del mondo,  dimostrano che il numero  dei reati denunciati  e a maggior ragione la percentuale dei reati accertati è  assolutamente irrisoria rispetto a quelli effettivamente consumati, accertabili con le ricerche retrospettive.  Per es. In base ad un importante ricerca dell’istituto degli Innocenti solo una ridottissima percentuale (2,9%) ha denunciato all’autorità giudiziaria l’abuso sessuale subito (Cfr. D. Bianchi, E. Moretti, Vite in bilico. Indagine retrospettiva su maltrattamenti e abusi in età infantile, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2006).
Continuano a pervenire dati statistici ed informazioni sulla consistenza e sulla diffusione  del  fenomeno della violenza sui minori, sulle dimensioni endemiche del maltrattamento e dell’abuso sui bambini.
Ciò nonostante il problema rimane oggetto di una rimozione e di una negazione da parte delle istituzioni sociali e da parte degli stessi operatori sociali e sanitari. 
Piovono le informazioni ma resistono le emozioni. Emozioni di rifiuto a riconoscere l’entità del fenomeno e la possibilità stessa che il fenomeno ti possa passare vicino ti possa passare accanto. Permane la tendenza nella comunità dei medici e degli psicologi a non prendere in considerazione l’ipotesi che tra i numeri sconcertanti delle statistiche possa esserci il bambino che stai esaminando.
A fronte di queste ricerche permane la forza del negazionismo che condiziona  le istituzioni e la comunità degli operatori  e il mondo degli psicologi in particolare.  C’è un oceano di falsi negativi che continuano a non essere diagnosticati.
Non si tratta ovviamente di voler assumere nell’approccio clinico una posizione aprioristica che enfatizzi l’ipotesi del maltrattamento e dell’abuso. Si tratta piuttosto di non escludere – come una gran parte degli psicologi continua a fare – l’ipotesi della violenza dal campo mentale, quando ci si avvicina alla diagnosi.
Le tesi  precostituite   del negazionismo continuano a tener banco: si afferma che la maggior parte delle denunce di abuso risulterebbero aprioristicamente infondate;  in caso di situazioni di conflitto  l’ipotesi della falsa accusa è l’unica ipotesi che viene nei fatti presa in considerazione;  si sostiene che  i bambini non meriterebbero un ascolto aperto, fiducioso non suggestivo, che li metta in grado di esprimere la verità di cui sono portatori.   
Un medico non deve avere in testa  ovviamente solo  l’ipotesi diagnostica del tumore, ma cosa penseremo dello specialista  che non tenesse costantemente in mente nell’esame clinico tale ipotesi assieme a tutte le altre che meritano di essere prese in considerazione?

L'indifferenza e l'insensibilità dei professionisti sono una causa rilevante del mancato riconoscimento dell'abuso e del maltrattamento sui bambini e spesso risultano un fattore di oggettiva collusione con la violenza.

martedì 1 ottobre 2013

ODIO LA TEMPESTA





Maddalena, vittima di una situazione di pesante violenza psicologica in famiglia,  mi invia una poesia bellissima,  ancorché angosciante.

Odio la tempesta
Mi sento un fiore investito da una tempesta distruttrice
Odio la tempesta
Con le sue unghie dilania il cielo
Squarcia le nuvole
Odio la tempesta
si scaraventa sugli alberi spogliandoli del loro mantello
la terra diventa cenere
la pioggia colora i fiori di grigio
tutto intorno a me è morto
Odio la tempesta
io sono l’unico fiore con i petali ancora colorati
io sono l’unico fiore ancora attaccato al suolo
la pioggia non trafigge il mio gambo, ma il bocciolo e le gocce di veleno scivolano dentro di me
Odio la tempesta
Il suolo sprofonda con me
Gli altri fiori si sono spezzati, mentre io sono prigioniera della terra

A Maddalena dico: “Non mollare il tuo odio, perché percepisco che è un sentimento purtroppo indispensabile a difenderti. Me ne hai parlato e l’ho capito.    E’ una poesia bellissima.  Non cedere alla tempesta che vuole schiacciare i tuoi petali. Resisti a chi vuole appropriarsi delle tue risorse vitali,  a chi vuole  dominarti ed usarti, a chi non accetta che tu possa fare il tuo cammino di autonomia, di libertà  e di realizzazione personale. Quando sentirai di poter camminare con le tue gambe, l’odio - che è un sentimento in molte situazioni necessario, ma pur sempre logorante – inizierà a scemare.”  

lunedì 30 settembre 2013

LETTERA A MIO PADRE ABUSANTE

LETTERA A MIO PADRE ABUSANTE


Ho ricevuto da Renata,  che seguo in psicoterapia,  il seguente  testo  significativo che rappresenta una svolta nel suo percorso di consapevolezza e di cambiamento. Mi ha autorizzato a pubblicarlo. Renata  è una donna coraggiosa ed ammirevole che viene da una storia terribile. Spesso ella dubita della possibilità di uscire dal suo trauma, ma sulla base della mia esperienza clinica e sulla base della conoscenza delle risorse di questa persona sono certo che ce la farà.  Il testo di Renata è una lettera al padre,  un testo che le  ha fatto compiere un salto di qualità nel cammino di guarigione che coincide con il recupero dell’infanzia rimossa.  Certamente è indispensabile che Renata prosegua  l’impegno iniziato di rigoroso riattraversamento emotivo e narrativo della vicenda traumatica con il superamento delle rimozioni e delle dissociazioni della memoria,  a cui ella inevitabilmente è ricorsa nella propria infanzia ed adolescenza per proteggersi dalla sofferenza e per sopravvivere.

Ripeto spesso l’affermazione di Bion che ricorda che la mente umana ha bisogno di verità  come l’organismo ha necessità di cibo.   Solo  la verità – anche sul piano clinico –  può rendere liberi, come ricorda l’apostolo Giovanni. Il  processo di uscita dal trauma necessita di un percorso paziente di rielaborazione della realtà dei fatti così come sono stati vissuti ed interiorizzati dalla vittima. Il percorso di guarigione passa attraverso il recupero più schietto e crudo possibile delle umiliazioni e delle violenze subite e attraverso una ricostruzione,  dotata di senso,  degli eventi traumatici che sono stati memorizzati in modo frammentato e confuso, che sono stati oggetto della negazione e della manipolazione da parte dell’adulto violento , che sono stati deformati dall’impotenza,  dalla confusione della vittima stessa  e della sua fascinazione  difensiva nei confronti del genitore abusante.
Mi è capitato di leggere un articolo di Marco Vitale su “Il fatto” del 2 agosto dove si descriveva un concetto del pensiero greco:  la “parresia”.   “La parresia – scrive Vitale -  è, in poche parole, il coraggio della verità di colui che  sa assumere il rischio, malgrado tutto, di esprimere l’intera verità che ha in mente, anche se ciò può reagire negativamente l’interlocutore”.


Il soggetto traumatizzato deve imparare a parlare schietto, a dirsi e dire la verità, deve imparare il linguaggio della chiarezza e dell’autenticità , ricostruendo quanto accaduto nel corso della vittimizzazione,  anche se questo può generare sofferenza  al genitore esterno, al genitore interno e anche alla bambina che ancora vive dentro il sé, cioè dentro la mente della vittima stessa,  una bambina  che stava troppo male nel corso dell’abuso per percepire la verità tremenda di quanto stava avvenendo.  La testimonianza di Renata,  è un esempio  di “parresia”, di un salutare, coraggioso  e curativo La testimonianza di Renata,  è un esempio  di un  salutare, coraggioso  e curativo linguaggio di franchezza e liberazione.    


LETTERA A MIO PADRE ABUSANTE

Violenza anziché amore

TI DIMENTICHI 
che tu sei la causa del mio malessere
che tu mi hai cresciuto con falsi sorrisi e cazzi passati per coccole,
che mi hai tenuto senza soldi dicendo che non ce n’erano, ma guarda caso mancavano sempre per ciò di cui avevo bisogno io;
che mi hai deliberatamente lasciato nella solitudine persecutoria di mia madre così avevi più spazio di manovra per le tue porcate,
che mi hai sempre tenuto nel silenzio e nell’omertà più assoluta, non diciamo niente a mamma altrimenti si arrabbia (e io sapevo cosa voleva dire che me le prendevo io bastardo!)
ADESSO mi chiedi cosa puoi fare?

Sesso anziché carezze

Mi è tornato in mente (non ricordo l’età) che con la lingua ti leccavi il dito e me lo mettevi nel sedere prima di metterci il tuo cazzo duro di merda. Altro che piacere, si certo mi piaceva ma PER FORZA NON AVEVO ALTERNATIVE NON CAPIVO DI POTERNE AVERE. Ho sofferto di ogni genere di disturbi somatici, obesità, mal di testa fino a 18 anni, poi di mal di stomaco che si sono tramutati in gastrite e per finire sono stata ricoverata in ospedale psichiatrico e  tu non sei salito neanche una volta a trovarmi in diversi  mesi che sono stata lì. Non dormivo, non mangiavo, non vedevo nessuno  e volevo solo MORIRE e questo ti sembra NORMALE?
Questa è la felice normalità che tu e mia madre mi avete regalato di cui parli, quando sostieni che siete stati i migliori genitori del mondo?

Rapporti sessuali al posto dell’affetto

L’affetto è  ciò che mi hai negato e che di conseguenza ho negato a quel tesoro di mio figlio che ho tenuto lontano per anni con la paura inconscia di abusarlo a mia volta. Non ho potuto tenerlo tra le braccia con tenerezza o allattarlo con amore. Non ho potuto tenerlo con me, vicino, avevo paura tremavo. Ancora adesso tremo, tremo perché ciò che ho vissuto è tremendo, nessuno vuole sentirlo, nessuno vuole sapere, tanto meno chi lo compie. E ora dopo essere stata depredata della mia vita vicino a me non c’e’ nessuno sono sola, sola. Solo con gli ATTACCHI DI PANICO, sola con i conti che non tornano mai, sola  con i patemi dei miei figli, i loro bisogni, i miei bisogni,  gli attacchi del mio ex marito  e di tutte le persone (tu in cima) che a cuor leggero ridono o ignorano il dramma di una persona che è stata abusata sessualmente.
Il tuo cazzo ti tirava e non avevi neanche il coraggio di andare a cercarti una donna al punto che hai riversato la tua cupidigia sessuale su di me e poi mi hai convinta per tantissimi anni che lo avevo voluto io!!!!  Bella trovata e ora  io passo la mia vita a sentirmi in colpa di tutto oppure a stare male come un cane.

Omertà al posto dell’apertura

La tua falsa apertura nei confronti delle mie richieste era calcolata. Accettavi e condividevi (almeno così mi sembrava) tutto ciò che non mi permetteva  mamma,  i miei amici, il fumo, i ritardi, etc… ma non era vero era solo per paura che io potessi parlare. Fingevi di accettare per comprare la mia omertà. Bastardo! Quando eravamo solo noi tre avevi paura a difendermi o ti faceva comodo che mia madre se la prendesse con me piuttosto che con te, non hai mai preso le mie difese ne dalle botte, tantomeno dalle ingiurie e dalle cattiverie, figuriamoci dall’invidia, anzi ad un certo punto, quando ho cominciato a ribellarmi e tu hai capito che tua moglie non ti avrebbe fatto niente perché era succube e ormai troppo malata, sei diventato stronzo come lei. Poi però i sensi di colpa ti attanagliavano almeno fino a quando lei non è morta, da lì hai iniziato a mostrare veramente la tua insofferenza, la tua indifferenza e


Bastardaggine anziché genitorialità

Quando venivo nel VOSTRO letto volevo coccole vere e proprie coccole, abbracci, baci,  non SESSO. Magari potevo desiderare di sfiorarti, di conoscere, di capire le mie pulsioni, non sicuramente baci in bocca, mani nella vagina o rapporti sessuali o sperma in bocca o tutto ciò che avviene in un rapporto sessuale e non tra un papà e sua figlia.
Hai inquinato la mia fiducia, non posso stare sola con un uomo che non sia vestito che mi viene il panico, non posso vedere un papà e una bimba senza pensare che tutti i papà sbavano per le loro figliolette e ci ho messo proprio tanti anni per capire che non tutti i papà picchiano le loro bimbe con il cazzo e che la tua violenza era uguale se non peggiore alle botte di mamma!
Non posso sapere cosa vuol dire avere un papà affettuoso che poi non ti chieda sesso in cambio del suo affetto. Che dolore,  che dolore! Che tristezza! Che malessere!

Renata 

TAGLIARE LE RADICI DEI RICORDI?



Una lettera da Antonia
Tagliare le radici dei ricordi?


“Mi è capitato di leggere su una rivista “Riza psicosomatica” un articolo che mi ha disorientato e anche fatto arrabbiare. Sono stata attirata da un titolo in copertina: “Come superare i traumi del passato”. Poi ho letto in una pagina interna: “Taglia a poco a poco le radici dei ricordi. Non parlarne più.”   Ho subito un lungo abuso da mio zio quando ero bambina e che sto portando avanti da oltre due anni una psicoterapia con tanta fatica economica e di testa. All’interno di questa terapia  sono riuscita a guardare in faccia al  ricordo della violenza che ho subito e che non ho mai dimenticato, ma che avevo in qualche modo messo da parte e minimizzato, perché non riuscivo a collegare tanti problemi, tante insicurezze e tante paure che si manifestavano dentro di me all’abuso di cui sono stata vittima. Ho impiegato parecchio tempo per trovare la forza e il coraggio per parlare ai miei genitori di quello che mi è successo ed è stata una grande liberazione accorgermi che soprattutto mia madre ha reagito bene a questa comunicazione: non solo non s’è  suicidata né è impazzita, come temevo in qualche angolo della mia mente, ma mi è stata in qualche modo vicina. Ma la scelta più importante e faticosa è stata di parlare del mio abuso con il mio fidanzato conosciuto da appena un anno, ma capace di farmi vivere un sentimento  che non avevo mai conosciuto.  La mia  terapeuta mi ha incoraggiato molto a muovermi in questa direzione.    Ora leggo che bisognerebbe tagliare le radici dei ricordi, non parlandone più.  Il testo così proseguiva “Non coinvolgere in questa atmosfera il tuo mondo esterno alla famiglia (ad esempio un nuovo partner, amici appena conosciuti, colleghi), sia fisicamente che attraverso le tue confidenze. Ciò ti consentirà di viverti più liberamente di mostrarti diverso rispetto al solito ruolo familiare e di non sentirti giudicato da chi non può capire”. Allora sarebbe tutto sbagliato il mio percorso? Mi chiedo come è possibile che degli psicologi possano suggerire di non parlare più dei traumi del passato.                                              
            
 Antonia 

Non mettere il silenziatore ai ricordi e alle emozioni del trauma

Cara Antonia,

            lei ha avuto tanta fortuna a trovare una terapeuta capace di vicinanza e di sostegno e che l’ha incoraggiata ad esplicitare ai suoi familiari e al partner la propria vicenda, per sottrarla ad un silenzio che avrebbe rischiato di alimentare e di prolungare all’infinito la tendenza, tipica di ogni vittima, a guardare con un  senso di indegnità e di colpa alla propria esperienza traumatica, mantenendola nell’area dell’indicibilità.
Ora, se lei avesse intenzione di parlare con il suo nuovo partner della propria vicenda infantile per attirare l’attenzione su di sé in modo vittimistico o manipolativo, ovviamente non andrebbe bene. Ma se invece gliene vuol parlare, come mi sembra, per aprire un terreno di comunicazione autentica sulle vostre storie per poter imparare a condividere meglio i problemi e per potenziare l’intimità, è una scelta semplicemente straordinaria, su cui non deve dubitare.    

Comunicare le proprie esperienze traumatiche all’interno della coppia diventa in questo caso un modo per ottenere conforto, per farsi conoscere e nel contempo per conoscere il suo partner, per verificare se dispone di quella comprensione emotiva che sarà così indispensabile nel cammino futuro della coppia. Ovviamente, come si suol dire,  a buon rendere … Siccome anche il suo partner viene da questo mondo e non certo da un pianeta dove l’infanzia scorre priva di problemi e sofferenze, toccherà a lei assumere il medesimo atteggiamento di ascolto empatico quando emergeranno punti di ferita emergenti dalla storia del suo fidanzato.
Cara Antonia, le persone che come lei sono state vittima di un abuso infantile e con grande impegno e coraggio hanno incominciato a scalare la montagna dell’elaborazione del trauma per liberarsi dai danni  che hanno subito devono imparare a procedere sulla propria strada senza curarsi delle aree di indifferenza, di insensibilità  e di ignoranza che circondano il fenomeno della violenza sui bambini e che si estendono alle problematiche dei soggetti traumatizzati.  Queste aree purtroppo sono diffuse anche nel mondo della psicologia.  Se così non fosse le violenze fisiche, psicologiche e sessuali ai danni dell’infanzia non sarebbero tanto consistenti  e le esperienze traumatiche dei bambini e degli adulti non sarebbero destinate, come purtroppo accade, a trovare raramente risposte terapeutiche adeguate.
Con un progresso molto lento e faticoso,  ma inarrestabile, sta crescendo la consapevolezza che le esperienze traumatiche ed avversive, subite nell’infanzia e nell’adolescenza,  producono le conseguenze più deleterie  nella misura in cui non possono essere messe in parola e condivise all’interno di relazioni con adulti capaci di comprensione e di empatia. Le resistenze a questa consapevolezza sono tuttavia molto forti: la tentazione di fronte alle sofferenze traumatiche di ricorrere al vecchio adagio “mettiamoci una pietra sopra” è molto forte. E’ la strada immediatamente più semplice e meno gravosa: sia per chi ha subito l’esperienza traumatica ed avversiva, in quanto si risparmia così il dolore di riviverla e di accettare di averla subita, sia per chi è chiamato ad ascoltarla (magari in quanto psicologo), in quanto si risparmia la fatica di condividerla e di aiutare la rielaborazione.  Dunque, Antonia, non si stupisca,  se trova affermazioni  come quelle da lei riportate in campo psicologico. “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”, scriveva Dante Alighieri. Le auguro di  imparare ad essere più convinta della strada intrapresa e nel contempo ad accettare (che non significa condividere!) e comprendere  le ragioni difensive per cui la maggior parte delle persone (tra cui un numero notevole di psicologi) preferiscono mantenere l’illusione che la soluzione migliore di fronte ai trauma sia quella di seguire la strada difensiva più immediata e  facile, che è quella di illudersi che sia possibile sforzarsi di dimenticare, non parlandone più e  tagliando le radici del ricordo.
Le dico poi che sono andato a cercarmi la rivista che lei citata. “Riza psicosomatica” ha avuto una funzione storica meritoria in Italia nel sensibilizzare alla conoscenza dei disturbi psicosomatici. Non condivido tuttavia la scelta di confondere il messaggio della psicoterapia e della cura di sé con il messaggio seduttivo della pubblicità. Il numero in questione è dedicato all’autostima con un titolo accattivante: “L’autostima. Trovarla è semplice. Così realizzi ciò che vuoi”. Non credo che con una sana autostima si possa realizzare ciò che si vuole, anche perché una sana autostima consente di riconoscere meglio i propri limiti soggettivi e i limiti dell’essere umano in generale.  Inoltre ritengo illusoria e pericolosa l’idea che sia semplice ed immediato imparare a regolare la propria autostima: per un soggetto che ha subito esperienze traumatiche o avversive (il 75% della popolazione femminile a giudicare dalla ricerca citata e la situazione non mi sembra affatto migliore per quella maschile!) può essere il risultato di un percorso di maturazione di lunghi anni, può essere l’obiettivo di un’intera esistenza.
Per ripristinare l’immagine di sé danneggiata ed inquinata non mi pare ci siano alternative alla ricerca di una strada che consenta di tornare con il pensiero e con la parola al passato assieme a qualcuno che sia in grado di incoraggiare e non di scoraggiare la memoria,  fin tanto che non si riescano a contattare e a sciogliere tutti i nodi della sofferenza traumatica sperimentata.

C’è da dire che i traumi del passato, a cui si riferisce l’articolo che l’ha colpita ed infastidita, non hanno nulla a che fare con i traumi reali che portano consapevolmente o inconsapevolmente schiere  di individui in psicoterapia: abusi fisici e sessuali patiti  nell’infanzia, atteggiamenti di rifiuto, disprezzo, umiliazione, colpevolizzazione sperimentati nella famiglia di origine, messaggi angoscianti, compiti impossibili, legami confusivi e vincolanti un tempo interiorizzati,
maltrattamenti psicologici e morali, forme varie di violenza assistita, ecc…
L’articolo si riferisce più ai traumi che gli adulti cercano di scaricare sui bambini, piuttosto che ai traumi nell’infanzia e nell’adolescenza che bussano insistentemente nella vita adulta e che chiedono di essere ricordati e rielaborati. Alcuni passaggi sono interessanti: “Ci sono famiglie in cui … una grave malattia di uno, seppur superata, tiene tutti i familiari in uno stato di allerta da molti anni; oppure c’è un gran segreto, qualcosa di grosso avvenuto tanti anni fa (tradimenti, rotture parentali, guai con la giustizia) di cui non si può parlare, ma di cui tutti sentono l’inquietante presenza …  la vita della famiglia è bloccata da questo eventi ogni membro sembra dover pagare un prezzo per quanto accaduto: ad es. un figlio non riesce a concedersi ciò che i genitori non hanno avuto perché gli sembra di far loro un torto ”. Il titolo dell’articolo avrebbe dovuto coerentemente essere: “Non fatevi condizionare dai ricatti del passato familiare!”
In queste  situazioni certamente il figlio deve rompere con il passato, nel senso di rompere con i vincoli di dipendenza dai propri genitori, ma anche in questo caso egli ha esigenza di ricordare e non di dimenticare quanto ha sofferto per il clima familiare opprimente, ha bisogno di parlare e di essere ascoltato, magari anche dal suo partner, oltre che dal suo psicoterapeuta,  ha necessità di un impegno di comunicazione e di consapevolezza prima ancora che uno sforzo di volontà.

L’articolo è  comunque molto confusivo.  I due titoli che compaiono sono molto contraddittori: da un lato “Non farti più frenare dai traumi del passato”, dall’altro “Taglia a poco a poco le radici dei ricordi. Non parlarne più”. Quest’ultimo messaggio molto netto sembra proporre la dimenticanza, la negazione, l’atto volontaristico piuttosto che l’elaborazione.
E’ vero dunque che esistono traumi familiari antichi che sono usati dagli adulti per scaricare sui figli il costo di una loro incapacità a ricordarli ed ad affrontarli. Ed in queste situazioni  i figli in effetti devono cercare di prendere le distanze  da quel passato, perché i traumi in questione non sono i loro e perché rischiano di restarne invischiati.
E’ vero inoltre che in qualche paziente può manifestarsi una modalità di parlare del passato finalizzata non già a far emergere le emozioni bloccate e farle fluire, bensì per alimentare un atteggiamento depressivo, vittimistico o rivendicativo.
Ma il messaggio dell’articolo, così come il messaggio di molta cultura psicologica rimane molto disorientante perché  nasconde e mistifica una verità fondamentale, quella che è ben sintetizzata da Cermak e Brown: « Nessun dolore è tanto intenso quanto il dolore che si rifiuta di affrontare, nessuna sofferenza è tanto duratura quanto la sofferenza che ci si rifiuta di riconoscere»

Claudio Foti 

METTERE IN PAROLA IL TRAUMA: ALCUNE SLIDES

METTERE IN PAROLA IL TRAUMA: ALCUNE SLIDES



Il bisogno di mettere in parola la sofferenza in generale e la sofferenza post-traumatica in particolare:

  •      è universale;
  •      ha una base psicobiologica ed effetti psicobiologici;
  •      è una modalità adattativa con cui la specie umana affronta ed elabora socialmente la sofferenza
  
                                                                                                

Frequente ed  irresistibile bisogno di parlare dei sopravvissuti
      
        RAPPORTO TRA AUTONARRAZIONE E SOFFERENZA PSICHICA
        ANALOGO AL RAPPORTO TRA FEBBRE E MALATTIA INFETTIVA
                                                                                            (Stiles et al, 1992)

                                                                                                  

 AUTONARRAZIONE   DELL’ESPERIENZA TRAUMATICA ED AVVERSIVA  

     AUTORIFLESSIONE,

     CONSAPEVOLEZZA,

     MIGLIORAMENTO DELLA CONNESSIONE TRA STORIA, PENSIERI E SENTIMENTI

     ATTRIBUZIONE DI SENSO

     ORGANIZZAZIONE E RIORGANIZZAZIONE DEL SE’

                                                                                                                                                             copyright Claudio Foti, 2003

    
NARRAZIONE DEL TRAUMA ED EFFETTI SULLA SALUTE
   Ricerca di Pennabeker

   Gruppo sperimentale: si chiede ai partecipanti al gruppo sperimentale scrivere per 15 minuti un resoconto anonimo di esperienze traumatiche

    Gruppo di controllo: si chiede ai partecipanti di scrivere su argomenti non coinvolgenti

 

    RISULTATI

Nelle ore successive all’esperienza della scrittura  nel gruppo sperimentale si osserva:
umore peggiorato, emozioni d’infelicità, spossatezza.
   
A medio termine:  
effetti benefici sull’equilibrio psichico fisco di chi ha esplicitato e riattraversato le espe- rienze  traumatiche. Si registra nei partecipanti un effetto positivo sui marker ematici delle funzioni immunitarie.

                                                                                                    

    Alcune ricerche (Gidron, et al. 1996):

    se gli EFFETTI DI DISORGANIZZAZIONE provocati dal trauma sono ANCORA ATTIVI , la rievocazione e il racconto non  contribuiscono a migliorare lo stato emotivo  e le condizioni psicofisiche
BAMBINI SOTTO L’EFFETTO DEL DPTS (Disturbo post-traumatico da stress) VANNO CURATI  PIU’ CHE ESPOSTI A   CONDIZIONI STRESSANTI NELLE QUALI SI RISCHIA:

-        IL RACCONTO RISULTERA’ INCOMPLETO E IMPRECISO

-        L’ESPERIENZA FONTE DI FRUSTRAZIONE E NUOVA SOFFERENZA

-        CONFERMA IMMAGINE DI SE’ CONFUSA ED IMPOTENTE

                                                                        (DI BLASIO, 2001)











UN ABUSO AI TRE ANNI NEGATO E MINIMIZZATO

UN ABUSO AI TRE ANNI NEGATO E MINIMIZZATO


Riprendo una mail inviata da Rebecca al forum “CURARE IL TRAUMA E’ POSSIBILE!” che ho lasciato in sonno per parecchio tempo. E’ la mail buona per riprendere  ad avvivare e ad alimentare il blog.
Sono in fase di sperimentazione e dunque proverò  all'interno di questo blog a  riprendere le sollecitazioni, le questioni le emozioni circolate nel forum CURARE IL TRAUMA E’ POSSIBILE!”

Ecco la mail di Rebecca.
   
"Buongiorno. Sono finita per caso a leggere questo forum.....anzi no per caso non succede mai niente!. Non so se questo forum è ancora attivo ma per me fa lo stesso.
Sto per compiere cinquant'anni. Da circa un anno ho "scoperto" di essere stata abusata all'età di 3 anni. Ed è per questo che sto scrivendo. Cinque anni fa è morta mia mamma. Da dodici anni è invece morto mio padre. Dopo la morte di mia madre ho iniziato una psicoterapia per affrontare il lutto , ma da questo lavoro è invece emerso in modo chiaro e lampante il vero problema della mia vita intera: l'abuso.
All'età di tre anni un amico di mio padre, durante un momento di festa famigliare , mi ha messo le mani addosso, anzi mi ha messo le mani dentro.......Mio padre e mia madre hanno reagito forse con l'unica modalità che conoscevano o con l'unica che sono stati in grado di mettere in atto: hanno negato. O meglio hanno minimizzato, hanno nascosto a tutti e a se stessi la gravità della cosa, hanno fatto finta che non fosse successo niente pensando che l'episodio non fosse così grave. Hanno pensato che tutto ciò non avrebbe portato conseguenze nella mia e nella loro vita.
Dopo quell'episodio la mia vita è scivolata via regolare.......sono stata riempita di affetto e attenzione, sono stata la cocca di famiglia, quella che doveva essere coccolata e difesa. Mio padre ha messo in atto una strategia di difesa nei miei confronti e nei confronti di mia sorella, verso i pericoli dell'esterno, con una politica di chiusura e di "messaggi" verso il pericolo esterno che mi ha portata ad avere paura degli altri ed in particolare delle persone dell'altro sesso. Per contro ci ha cresciute con una rigidità educativa che ha plasmato il mio carattere e il mio modo di essere in modo indelebile: non mi sono mai concessa sgarri, infedeltà, errori....non era previsto. Mia madre invece ha svolto il suo ruolo di fonte di affettività , anche se di un'affettività poco fisica, poco fatta di abbracci, baci e coccole. Nella mia famiglia sono cresciuta in un ambiente in cui il dimostrare emozioni, il lasciarsi andare, l'andare oltre certe regole non era previsto.......
Ed io? Io ho iniziato ad avere mal di testa all'età di cinque/sei anni, con l'inizio della scuola elementare ( anche perché alla scuola materna non mi hanno mandato.....). Ed ho convissuto con questo sintomo sino ad oggi......
Oggi dopo un lungo cammino psicoterapico e individuale fatto di tanti tasselli e di tante esperienze, sono arrivata ad un punto che non vuol essere di arrivo, anche perché credo che nella vita non possiamo mai pensare di essere arrivati da qualche parte. Un punto di maturazione, di consapevolezza: io sono stata abusata e non sono stata protetta.
In questi ultimi mesi di lavoro e di riflessione il mio pensiero , dopo aver rivisto e riletto tutte le vicissitudini della mia vita e della vita della mia famiglia, quella d'origine e quella attuale, alla luce di questo segreto che ho scoperto e che è solo mio per il momento...., dicevo il mio pensiero è rivolto a due aspetti:
- il segreto: ho condiviso questo segreto solo con la mia psicoterapeuta e con nessun altro.......sento che è giusto per me così, ma potrebbe invece essere una forma di difesa: come dire devo rivelare al "mondo" questo segreto o devo tenerlo per me?
- il perdono: è possibile che una via d'uscita o di interpretazione per me possa essere il perdono? Il perdono verso mio padre e mia madre, che non mi hanno protetta? Il perdono verso il colpevole di tutto ciò? Il perdono come meccanismo per rimettermi in contatto con l'energia dell'amore? come strumento per alleggerire il mio bagaglio?
So che tutte queste riflessioni aprono tante vie d'uscita e so che non ci sono risposte univoche........Ma scrivere aiuta........Grazie dell'ascolto comunque......"
Rebecca

Cara Rebecca, con la sua mail il sito “Curare il trauma è possibile! riprende la sua attività. Non è semplice dare continuità alle mie risposte ai vari interventi che pervengono. Mi limiterò in molti casi a brevi commenti.

La sua testimonianza è particolarmente lucida e sembra rivelare che è stato svolto un ottimo lavoro psicoterapeutico.
“Mio padre e mia madre hanno reagito forse con l'unica modalità che conoscevano o con l'unica che sono stati in grado di mettere in atto: hanno negato. O meglio hanno minimizzato, hanno nascosto a tutti e a se stessi la gravità della cosa, hanno fatto finta che non fosse successo niente pensando che l'episodio non fosse così grave.”
Negazione e minimizzazione sono in effetti le reazioni difensive che risultano ancora le più frequenti di fronte al  compito di riconoscere la gravità dell’abuso sessuale su un bambino e i suoi inevitabili effetti, che si moltiplicano in misura direttamente proporzionale a quanto l’abuso tenda a non essere ascoltato e i suoi possibili danni  tendano a non essere considerati.
Negazione e minimizzazione non solo nella famiglia, ma nell’ambito stesso della comunità degli psicologi, dei medici, degli educatori , degli operatori minorili continuano ad esercitare il loro fascino di sistemi che tendono a risolvere il problema sopprimendone la percezione.

La sintesi che compie è comunque molto efficace e mi complimento con lei: “Oggi dopo un lungo cammino psicoterapico e individuale fatto di tanti tasselli e di tante esperienze, sono arrivata ad un punto che non vuol essere di arrivo, anche perché credo che nella vita non possiamo mai pensare di essere arrivati da qualche parte. Un punto di maturazione, di consapevolezza: io sono stata abusata e non sono stata protetta.”

Mi viene innanzitutto da precisare, ma credo che lei ce l’abbia chiaro a giudicare dalle riflessioni che compie,  che  “il vero problema” della sua vita “intera” non è stato l’abuso, ma come la sua famiglia e dunque la sua mente ha reagito all’abuso.
La questione del perdono, così come la pone,  è troppo complessa per affrontarla nella sua generalità  e nei suoi diversi aspetti. Mi viene solo da dire che il perdono non può precedere la comprensione, ma procede dalla comprensione. Quando s’è realizzato un contatto mentale pieno e consapevole con la propria storia, con il proprio dolore e la propria rabbia ed anche il proprio odio inespresso, quando si è raggiunta un’elaborazione sufficiente e nel contempo la funzione di consapevolezza è lucida sullla dimensione del presente e sulla dimensione del passato-nel presente l’“energia dell’amore” per riprendere la sua espressione  si potenzia sicuramente. Un perdono ricercato invece per ragioni ideologiche o moralistiche in modo prematuro e sostitutivo rispetto ai processi di elaborazione rischia di essere elusivo e contrastante l’impegno ad ascoltare le parti del Sé ferite e sofferenti (cfr. A Miller, Il bambino inascoltato, Bollati Boringhieri).

Sul segreto posso dire che la differenza tra la sana riservatezza e il segreto patogeno è che la prima è il frutto di una libera e realistica scelta, il secondo è una necessità, accompagnata da angoscia e colpa: il segreto è dunque qualcosa che non si può rivelare neppure a coloro che potrebbero mostrare maggiore vicinanza e comprensione se conoscessero con maggiore autenticità la nostra storia e che noi stessi potremmo conoscere meglio se potessimo valutare il modo con cui reagiscono alle maggiori informazioni che possiamo concedere loro, nel momento in cui ci liberiamo dal peso obbligante e logorante del segreto.